WOOD PELLET

Il PELLET QUESTO CONOSCIUTO

 

Pellet di legno per riscaldamento

 

Il legno in pellet è un combustibile ricavato dalla segatura essiccata e poi compressa in forma di piccoli cilindri con un diametro di alcuni millimetri, tipicamente 6–8 mm.

 

Descrizione


 

La capacità legante della lignina, contenuta nella legna, permette di ottenere un prodotto compatto senza aggiungere additivi e 

sostanze chimiche estranee al legno. Si ottiene, quindi, un combustibile naturale ad alta resa. L'umidità del materiale deve essere compresa in uno stretto intervallo (intorno al 8-10%) per garantire una corretta pressatura.

La combustione del pellet di legno produce biossido di carbonio e inquinanti tipici della combustione delle biomasse solide. Residuo tipico sono gli incombusti, ed in particolare le ceneri, la cui quantità è strettamente dipendente dalla tipologia di biomassa (circa 3% per il legno, 9-15% per paglia).

Grazie alla pressatura il potere calorifico del pellet, a parità di volume ma non di peso, è circa doppio rispetto al legno. Sul rendimento calorico influisce in minima parte anche la percentuale di legni duri di origine.

Il pellet è utilizzato come combustibile per stufe di ultima generazione, in sostituzione dei ceppi di legno. Ciò comporta una serie di miglioramenti di tipo ecologico, energetico e di gestione dell'impianto 

di riscaldamento rispetto alle stufe tradizionali.

Tra i vantaggi ambientali ed economici si segnala che la produzione di pellet esclude il bisogno di tagliare alberi: infatti i costi di una simile operazione renderebbe il prodotto antieconomico e dannoso per l'ambiente.

 

 

 

PRODUZIONE

 

I pellet sono cilindretti di legno pressato, prodotti a partire da residui di segatura e lavorazione del legno (trucioli e segatura), in genere prodotti da segherie e falegnamerie:

La materia prima è anticipatamente selezionata, essiccata e pulita dalle impurità, per ottenerne una qualità costante, con un’umidità residua ben determinata (circa 8/10%), nel caso di essicazione forzata veloce, questo procedimento porta spesso ad un colore scuro del pellet; la preparazione prevede inoltre una selezione di specie di legno più tenere (abeti, conifere) ed una 

certa omogeneità qualitativa e dimensionale; la maggior accuratezza di questa preparazione si traduce in una miglior qualità del prodotto finito e in minor consumo di energia per la produzione.

                                               

Per la produzione di una tonnellata di pellet occorrono dai sei agli otto metri cubi di trucioli e segatura. Dopo la preparazione della materia prima, il materiale è immesso nelle presse tramite un trasportatore a coclea.

La pressa con un sistema di cilindri comprime il materiale, e lo fa passare attraverso i fori di una trafila, che lo riduce in lunghi spaghetti caldi, poi tagliati alla lunghezza desiderata (6–8 mm) e raffreddati nell’ ambiente (aria).

La pressatura agisce sulla materia prima, trasformando la lignina in collante che riveste le fibre di cellulosa.

Per conferire al materiale una certa resistenza all’ abrasione si usa aggiungere sostanze naturali (amido e farina) che facilitano anche la pressatura, in ragione di 

un massimo normato del 2%; agli effetti pratici si usa un'aggiunta di non più del 0,5%. La normativa prescrive inoltre che le polveri del prodotto non superino l'1%, perciò, prima dello stoccaggio, si setaccia il prodotto eliminando polveri e altri resti.

Il consumo d’energia necessario alla produzione e alla distribuzione del pellet partendo da resti secchi del legno è di circa il 2,7% dell'energia finale, molto minore di quello richiesto dal metano o dal gasolio (circa 10% e 12% rispettivamente). 

 

 

Riscaldare con la biomassa

 

Dal punto di vista energetico 2 kg di pellet di legno equivalgono a un litro di gasolio. Sotto il profilo del volume 3 m³ di pellet sostituiscono all’incirca 1.000 litri di gasolio.

 I pellet sono “energia locale immagazzinata” e contribuiscono alla creazione, al miglioramento e alla tutela di posti di lavoro locali. Riscaldare con il pellet protegge l’ambiente, poiché la combustione del pellet 

non fa aumentare il contenuto di CO2 nell’atmosfera.

È oramai indiscusso che le nostre riserve di combustibili fossili, come gasolio e metano, lentamente ma inesorabilmente diminuiscano. Se vogliamo evitare un collasso climatico e la prevedibile esplosione dei prezzi dei costi energetici, abbiamo bisogno fin da subito di una svolta in ambito energetico. E su questo punto sono d’accordo quasi tutti i climatologi e gli esperti energetici.

 

Tabella comparativa tra i principali combustibili
Non é possibile rapportare nel tempo il consumo preciso di combustibile relativo agli immobili in quanto ogni caldaia, immobile e abitudini personali, danno dispersioni e consumi   diversi. Di seguito  è rappresentata una tabella comparativa che tiene conto del potere calorifico dei singoli combustibili e il relativo costo per un'immobile nuovo di 250mq  

 

 

Quantità
per 1Kg

Potenza
ottenuta Kw

€ IVA comp. per 1 kg

Costo per
18,90 Kw

Metano (media nazionale)

2,57 m3

16,70

€ 2,107

€ 2,385

Gpl (media nazionale)

1,77 L

18,54

€ 1,646

€ 1,678

Gasolio (media nazionale)

1,205 L

11,70

€ 1,543

€ 2,493

Pellet di legna

1 Kg

4,80

€ 0,27

€ 1.062

 

 

Ai prezzi attuali del combustibile, (Ottobre 2013) una stufa a pellet in una stagione può tagliare le spese per il riscaldamento da 100 a oltre 1.200 euro a seconda del tipo di impianto che va ad integrare. Questo modo di scaldare le nostre abitazioni è sempre più popolare: in Italia oggi ci sono circa 1,7 milioni di stufe a pellet e circa 50-60mila caldaie a uso domestico. Un mercato ancora di nicchia, ma che è in forte crescita: i dati di vendita del primo semestre 2013 – ci informano da AIEL - - Associazione Italiana Energie Agroforestali sono superiori del 30% allo stesso semestre dello scorso anno, più del doppio della crescita media degli ultimi anni, sempre attestatasi attorno al 10%.

Stufe e caldaie a pellett d'altra parte godono anche di diversi incentivi. La facilitazione più usata sono le detrazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie, attualmente al 50%, che valgono anche per l'acquisto ex novo e danno diritto a vedersi rimborsata la percentuale di spesa sotto forma di detrazione Irpef (in 10 rate di pari importo su 10 anni). C'è poi il conto termico, un contributo variabile in base alla zona climatica e alla potenza installata erogato in due anni che però si rivolge solo alle sostituzioni di apparecchi già installati: stufe a legna o vecchie stufe a pellet, e, per le caldaie, caldaie a biomassa o a gasolio e, solo per le aziende agricole, GPL. 

Ma vediamo in dettaglio quanto costa e quanto fa risparmiare il pellet. Premettendo che il prezzo ha variazioni stagionali (più basso nel periodo da maggio a luglio, ha un rincaro verso agosto e si stabilizza durante l'iverno), osserviamo che ora, a ottobre 2013, una tonnellata viene venduta a circa 320 euro e il consumatore va a pagare un sacco da 15 kg tra 4,8 e 5,5 euro, molto più caro di quanto costava nello stesso periodo del 2012: circa 250-290 euro a tonnellata e 3,6-4 euro a sacco (in media).

Mentre per la primavera 2014 i prezzi si aggirano dai 240 ai 300 € Tonn. che a sacco sono dai 3.60 ai 4.50

La convenienza comunque resta. Basta guardare il grafico qui sotto che mostra il costo a MWh dei vari carburanti, calcolato da AIEL (AIEL - Associazione Italiana Energie Agro Forestali) in base ai prezzi aggiornati:

Considerando che una stufa a pellet produce 7,2 MWh termici in un anno (cioè consumi 1,5 tonnellate di pellet, un dato medio per molte case al nord Italia), il pellet farebbe risparmiare circa 1.200 euro nel caso vada ad integrare un impianto a GPL, che diventano 525 nel caso del gasolio e circa 100 per il metano.

 

 

 

 

Ma come scegliere il pellet migliore ?

 

Il consiglio principale di optare, quando possibile per prodotti certificati: le certificazioni che possiamo trovare sul pellet in commercio sono la tedesca Din e Din Plus, l'austriaca ÖNORM M7135, la svizzera SN 166000 e l'ENPlus che si sta diffondendo a livello internazionale, naturalmente la valutazione della convenienza si fa sempre considerando il rapporto qualità prezzo

Il marchio europeo ENplus divide i prodotti in 3 categorie a seconda delle caratteristiche chimico-fisiche del pellet: la A1 per il pellet più pregiato, una seconda, detta A2, e una terza contrassegnata con la lettera B nella quale finisce il pellet più scadente, adatto solo ad esser bruciato per usi industriali. “Per essere sicuri che il pellet sia davvero certificato non basta però che ci sia il marchio: deve sempre essere accompagnato da un numero identificativo dell'azienda, altrimenti non ha alcuna validità”. Il numero è formato da due lettere 

che indicano il paese di provenienza (es. IT per Italia) e da tre cifre. I numeri da 0 a 299 identificano i produttori, quelli oltre 300 gli importatori: sul sito di EN Plus si può verificare che il codice corrisponda al produttore o all'importatore effettivo.

Detto questo, molto pellet in commercio non è certificato, anche perché circa l'80% di quello presente sul mercato italiano è di importazione: gran parte proviene da Europa e Paesi dell'Est, ma una quota anche da Usa, Canada, Sudamerica, Australia e perfino Nuova Zelanda, Thailandia. Se il marchio di certificazione non è segnalato, bisogna verificare che ci siano almeno il nome e i riferimenti del produttore o dell'azienda responsabile della commercializzazione.

Informazioni utili – come residuo di ceneri, potere calorifico e contenuto idrico - ci vengono poi dall'etichetta. Come leggere questi valori? “Si può fare riferimento alla norma per la certificazione           il parametro più importante è il residuo di ceneri: per il pellet certificato A1 deve essere inferiore allo 0,7% e per quello certificato A2 deve essere inferiore all'1,5%. Pertanto un pellet con residuo inferiore all'1,5% è accettabile, ma è ancora migliore con un residuo inferiore allo 0,7%" .

 

 

Potere calorifico

 

Per quel che riguarda il potere calorifico, scopriamo che l'importanza di quanto scritto in etichetta è relativa: “Diversi produttori indicano valori fuorvianti, scrivendo il potere calorifico del pellet allo 'stato anidro': possiamo trovare sulle etichette valori tipo 5,3 kWh/kg. In realtà il potere calorifico reale del pellet è attorno ai 4,7-4,8 kWh/kg, ossia circa 16 MegaJoule. Cifre più alte sono false: il potere calorifico va misurato per quello specifico del pellet con il suo contenuto idrico, mediamente del 6-8%".

 

Anche la materia prima non è determinante per capire la qualità, fatto salvo che il pellet – come previsto dalla normativa – deve essere fatto con legno vergine che ha subito unicamente trattamenti di tipo meccanico (dunque niente scarti di falegnameria verniciati o incollati). La specie legnosa conta fino a un certo punto. “Anche se certe specie possono essere particolarmente difficili, va detto che non si trova pellet di castagno o di quercia puro, ma sempre mischiato ad altre specie, ad esempio a faggio o abete”.

Ma la qualità del pellet si può capire a una semplice ispezione visiva? La nota distinzione tra pellet chiaro e pellet scuro, scopriamo, “non ha fondamento: può dipendere dal tipo di essicatoio, quello a tamburo tende a tostare leggermente il pellet, dandogli un colore più scuro”. “La cosa importante è prendere in mano il sacco e vedere quanti residui di pellet sbriciolato ci sono: deve essere compatto, molti residui indicano pellet di scarsa qualità o che ha subito lunghi spostamenti”. 

Vi do qui alcuni suggerimenti sulle tecniche che  vi permetteranno di distinguere il pellet di qualità da quello meno pregiato:

·         deve essere costituito da cilindri di diametro costante e avere una superficie liscia e lucida

·         se prendete un pugno di pellet e lo versate in una bacinella piena d’acqua, se è di qualità affonderà, se non lo è, tenderà a galleggiare

·         controllate che siano riportate sulle confezioni gli estremi di certificazioni di qualità e in particolare il rispetto di norme internazionali come la Din Plus, DIN 51731 e O-NORM M7135. Molti pellet italiani, pur non avendo queste certificazioni, sono ugualmente prodotti di qualità.

·         controllate che le confezioni siano integre in quanto il pellet tende ad assorbire umidità. L’umidità non solo riduce il potere calorifico ed aumenta i fumi emessi ma gonfia il prodotto che potrebbe creare problemi alle stufe e alle caldaie.

 

Voglio sfatare qui il mito del pellet di faggio.

 

Una leggenda metropolitana che condiziona ancora il mercato italiano. I rivenditori di pellet ben sanno che una delle richieste più frequenti dei consumatori è quella di chiedere pellet prodotto con segatura derivante da scarti e tagli di legname di faggio. E’ in pratica il riflesso attuale della vecchia tradizione degli utenti della legna da ardere che, ovviamente, hanno sempre preferito, a ragione, legname definito “forte” ovvero con un maggiore potere calorifico (ma non solo, vi spiegherò poi). Nel caso del pellet il discorso è in gran parte diverso. La segatura viene fortemente compressa ed essiccata nel diventare pellet e le differenze tra pellet prodotti con diversi tipi di legname diventano minime. Quello di cui si dovrebbe preoccupare il consumatore è la percentuale di umidità. Quella si che influisce sulla capacità calorifica del combustibile e quindi sulla sua resa. Ricordiamo che più acqua contiene il pellet e meno contiene legno non solo, ma una parte non indifferente dell’energia liberata nella combustione dovrà essere utilizzata per far evaporare l’acqua con conseguente riduzione della resa nel riscaldamento.

 

Dualismo bianco di abete senza corteccia fra il pellet scuro di faggio e quello chiaro

 

Sfiora quasi il mito la rivalità tra il pellet scuro e quello chiaro. Ormai così radicata nella mente del consumatore finale da orientare di conseguenza ed in maniera consistente tutto l'andamento del mercato nazionale. E' indubbio, infatti, che gli italiani preferiscano il pellet chiaro a quello scuro, una sorta di xenofobia nei confronti dei prodotti non chiari.

 

Le ragioni di uno schieramento quasi unanime 

Sono molteplici ma ne vorremmo elencare almeno un paio che riteniamo quelle più importanti. Innanzitutto, il colore bianco, o chiaro che dir si voglia, è legato ad un concetto di purezza. In uno scenario che vede il consumatore di pellet sempre più spaventato, anziché rassicurato, da chi dovrebbe fare buona informazione, ci si affida a qualsiasi appiglio pur di fare la scelta giusta. In questo caso l'appiglio è il colore, qualcosa facile da constatare, qualcosa di inconfutabile come una caratteristica visiva che rassicuri l'utente sulla effettiva qualità del prodotto.

Ma anche i produttori di stufe e caldaie a pellet hanno contribuito a creare questo assoluto dualismo. Infatti, i primi modelli prodotti e molti di quelli ancora in produzione oggi funzionano meglio con pellet di legno tenero e senza corteccia, quelli più bianchi per l'appunto. Assenza di sistemi di autopulizia del bracere e/o di sistemi di alimentazione in grado di evitare il problema del klinker (residuo duro che si forma bruciando pellet scuri fatti anche con corteccia) hanno generato una moltitudine di esperienze negative con i pellet scuri realizzati anche con corteccia. Tutto ciò ha portato erroneamente il consumatore a legare a doppio filo il binomio pellet scuro-residuo duro,(fa anche rima…) a discapito degli ottimi pellet scuri prodotti con la massima attenzione nei confronti del residuo ceneri.

 

Ma il pellet bianco è realmente il migliore?

 

In Europa e negli Stati Uniti vengono prodotti straordinari pellet di sole essenze caducifoglie, in genere a legno duro, come il faggio, il carpino ed alcune specie del genere quercus, in purezza o miscelate tra loro: caratterizzati da una grande durabilità meccanica, eccellente potere calorifico e residuo cenere inferiore all'0,8-0,9%  in molti casi addirittura 0,7%. Malauguratamente per i produttori di questa tipologia di pellet, che siano essi certificati EN plus A2 o meno, il consumatore medio non li apprezza molto, e questa affermazione è tanto più vera quanto più si va verso il Nord Italia.

Ora ritengo che un consumatore accorto ai propri interessi, possa valutare alla luce di quanto vi ho detto quale sia per lui il prodotto con il miglior rapporto qualità prezzo: non sempre risulta conveniente seguire la maggioranza, perché talvolta si tratta solo di un nutrito gruppo di persone che si sono lasciate pilotare da interessi altrui:

vedi i costruttori di caldaie che tendono a risolvere i loro problemi semplicemente orientando il loro cliente a consumare un combustibile che favorisca il funzionamento della loro caldaia gettando discredito (ingiustamente) su quel combustibile che gli crea qualche difficoltà in più nella gestione .

Ma non tutte le caldaie o stufe a pellet hanno dei problemi, ad esempio molte caldaie/stufe di produzione tedesca od austriaca hanno già risolto questi problemi di residuo dopo la combustione e non certo per loro maggiori capacità, ma semplicemente perché da più tempo di noi Italiani si applicano sull’utilizzo di materiali legnosi come sistemi di riscaldamento.

Quindi forza ITALIANI, che la fantasia e la tecnica non ci manca e se impariamo ad utilizzare materiali naturali forse a qualcuno verrà in mente di riutilizzare tutti quei terreni collinari e montani che hanno tanto bisogno di rimboschimento,  

Questa sì, che si chiama prevenzione contro il dissesto idrogeologico in Italia

 

Il pellet bisogna imparare ad usarlo fino in fondo

Dopo la combustione il pellet lascia nel cassetto cenere che è solitamente molto ridotta rispetto ad uno stesso quantitativo di legna, ma invece che gettarla scopriamo come riutilizzarla.

Vi ricordate i rimedi della nonna? Per lavare panni e stoviglie si utilizzava la lisciva, un mix tra cenere e acqua, generalmente in un rapporto 1 a 5, si lascia bollire per circa 30 minuti poi si filtra il risultato (consigliata una garza o del cotone) si ottiene così un liquido sgrassante utilizzabile per il lavaggio di vestiti e stoviglie.

Questo liquido giallastro che avrete ottenuto si chiama lisciva, e può essere utilizzato sia per lavaggi a mano sia in lavatrice e lavastoviglie (possibilmente con un po’ di buon sapone di marsiglia).

Se vi avanza un po’ di questo prodotto, perché no, vi do un altro buon consiglio, unitelo a un po’ di olio di oliva e avrete un’ottima pasta utile a lucidare fornelli e superfici.

Credete che sia finita qui? Vi sbagliate! La cenere, ricca di potassio, calcio e fosforo, è un ottimo fertilizzante per il giardinaggio, spargere la cenere in maniera omogenea e senza eccessi prima di vangare il terreno (potete anche avvantaggiare il lavoro, la cenere non perde le proprietà fertilizzanti), con il residuo cenere di 10 sacchetti di pellet da 15kg si riesce a coprire la superficie di un giardino di circa 10 mq.

L’utilizzo meno conosciuto della cenere è quella diproteggere le piante da lumache semplicemente circondando i vegetali con lunghe strisce di cenere e evitare di utilizzare prodotti chimici che possono danneggiare il giardino e sono tossici per altri animali.

Un ultimo utilizzo che si può fare della cenere è se avete una produzione di compost (il risultato della decomposizione e dell’umidificazione di un misto di materie organiche) aggiungendo cenere tolta dalla vostra stufa a pellet, avrete diversi benefici come ad esempio: assorbimento dell’umidità, riduzione dell’acidità della fermentazione e rendono il prodotto finale migliore.



Vorrei salutarvi qui, sperando di avervi dato un contributo utile per orientarvi nella scelta del vostro pellet con l’augurio che possiate sempre trovare il giusto rapporto qualità prezzo nei vostri acquisti 
Nazario Buda